Pubblichiamo un articolo del dottor Alfredo Zanatta, geriatra e specialista di Igiene e Medicina preventiva.
Zanatta sarà presente in qualità di esperto, sul tema della fragilità degli anziani, in una delle giornate di formazione organizzate da Avoroma a partire il prossimo autunno.
La Costituzione italiana sancisce il dovere dello Stato di garantire la tutela della salute di tutti i cittadini sia salvaguardando l’individuo malato che necessita di cure sia tutelando l’individuo sano. “La Repubblica – si legge nell’articolo 32 – tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. In questa ottica, le vaccinazioni vanno considerate uno degli interventi più efficaci e sicuri di prevenzione primaria nella sanità pubblica, secondo solo alla potabilizzazione dell’acqua quanto a capacità di proteggere da alcune malattie infettive. La legge n. 73/2017 “Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale”, cui ha fatto seguito il Piano Nazionale della Prevenzione Vaccinale (Pnpv) 2017-2019, ha stabilito l’obbligo vaccinale per i minori di età compresa tra 0 e 16 anni e per i minori stranieri non accompagnati, mentre il Servizio sanitario nazionale eroga le vaccinazioni gratuite previste nel calendario vaccinale.
Obiettivo dei programmi di prevenzione vaccinale è assicurare protezione ai soggetti sani che, per alcune condizioni epidemiologiche, di salute, occupazionali o comportamentali, sono esposti al pericolo di contrarre determinate infezioni, nonché ottenere la riduzione e, quando possibile, l’eradicazione di alcune malattie infettive per le quali non esiste una terapia o che possano essere causa di gravi complicazioni. Storicamente, in Italia la copertura per le vaccinazioni obbligatorie si è sempre collocata intorno al 90-95 per cento. Tuttavia i dati pubblicati dal ministero della Salute relativi al 2016 mostrano una discesa sotto la soglia di sicurezza del 95 per cento per i vaccini contro malattie come poliomielite, tetano, difterite, epatite B e pertosse. Particolarmente problematica è diventata la copertura vaccinale per morbillo-parotite-rosolia.
In Europa sono stati registrati più di 41mila casi di contagio da morbillo nel primo semestre di quest’anno. Almeno 37 persone sono morte. Il paese più colpito è stato l’Ucraina, con più di 23mila casi. In altri cinque paesi europei – Francia, Georgia, Grecia, Russia e Serbia – sono stati registrati più di mille casi. Un record, come evidenzia l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che riporta altri numeri preoccupanti: da gennaio a giugno 2018 (in soli sei mesi) è già stato superato di molto il totale dei casi registrati ogni anno nell’ultimo decennio. Basti pensare che il maggior numero di contagi di morbillo dal 2010 al 2017 è stato registrato nel 2017, anno in cui ci sono stati 23.927 casi. Solo un anno prima, nel 2016, i casi di morbillo erano stati 5.273.
Tra i paesi responsabili di un aumento così rilevante dei numeri c’è anche l’Italia. In particolare, come riporta il bollettino di luglio dell’Istituto Superiore di Sanità sulla sorveglianza integrata del morbillo e della rosolia, dal 1° gennaio al 30 giugno 2018 sono stati segnalati in Italia 2.029 casi di morbillo (di cui 393 hanno colpito bambini di età inferiore a 5 anni, e 125 con meno di un anno) inclusi 4 decessi, e 14 casi di rosolia. Nel 91,3 per cento dei casi non era stata effettuata alcuna vaccinazione al momento del contagio, e nel 5,4 per cento dei casi il vaccino era stato somministrato in una sola dose. Quasi la metà (48,9 per cento) ha sviluppato almeno una complicanza, mentre il 59,5 per cento delle persone colpite hanno avuto bisogno di ricovero. 87 casi sono stati segnalati tra gli operatori sanitari.
È bene sapere che i rischi associati alle malattie prevenibili con le vaccinazioni sono di gran lunga superiori a quelli derivanti dall’assunzione di vaccini. In aggiunta, i vaccini contribuiranno sempre di più in futuro a risolvere patologie neoplastiche, come già avviene per il carcinoma della cervice uterina grazie al vaccino anti papilloma virus. Il beneficio è consistente anche in termini di spesa sanitaria, se si confrontano le risorse necessarie per la realizzazione di un programma vaccinale (oltretutto prevedibili) rispetto a quelli per la cura della malattia prevenibile e/o delle sue conseguenze croniche o invalidanti, ovvero per la gestione di eventi epidemici. Secondo una recente analisi sulle ricadute a livello mondiale, ogni euro speso per la vaccinazione può liberare fino a 24 euro reinvestibili in assistenza per chi si ammala. Inoltre una copertura del 75 per cento del vaccino antinfluenzale nei paesi dell’Unione europea (percentuale che si raggiungerebbe vaccinando altri 57 milioni di cittadini oltre a quelli già aderenti) consentirebbe un risparmio da 190 a 226 milioni di euro. Secondo stime riferite alla realtà degli Stati Uniti, per ogni dollaro speso nelle vaccinazioni infantili si generano 3 dollari di risparmio di spesa sanitaria e 10 dollari di risparmio per la società in generale.
La pratica vaccinale in quanto intervento collettivo, dunque, ha un alto “valore sociale” riconducibile alla protezione comunitaria (la cosiddetta immunità di gregge) ottenibile a seguito della riduzione del numero di individui suscettibili, in altre parole a seguito del raggiungimento di un’elevata copertura immunitaria nella popolazione. E ha anche un forte valore economico. Tuttavia il fatto che la disponibilità di vaccini abbia ridotto nel tempo la diffusione di alcune malattie gravi e mortali, o ne abbia limitato la letalità e la ricomparsa, o le abbia in qualche caso eliminate, ha attenuato la percezione della loro gravità. Da qui deriva in larga misura la resistenza da parte di alcuni alla loro accettazione. Una resistenza che va combattuta.
Alfredo Zanatta